L’art. 1, comma 72, L. 145/2018 (Legge di Bilancio) introduce una norma interpretativa relativamente all’attività di ricerca e sviluppo commissionata da una committente estera a una società commissionaria italiana, in genere all’interno dello stesso gruppo.
In specie, il predetto art. 1, comma 72 recita quanto segue: “Il comma 1-bis dell’articolo 3 del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145 convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9, concernente il riconoscimento del credito d’imposta per spese di ricerca e sviluppo ai soggetti residenti commissionari che eseguono attività di ricerca e sviluppo per conto di imprese residenti o localizzate in altri Stati membri dell’Unione europea, negli Stati aderenti all’Accordo sullo Spazio economico europeo ovvero in Stati compresi nell’elenco di cui al decreto del Ministro delle finanze 4 settembre 1996, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 220 del 19 settembre 1996, si interpreta nel senso che ai fini del calcolo del credito d’imposta attribuibile assumono rilevanza esclusivamente le spese ammissibili relative alle attività di ricerca e sviluppo svolte direttamente e in laboratori o strutture situati nel territorio dello Stato italiano”.
La portata della citata norma interpretativa ha portato gli operatori del settore a ritenere auspicabile ed opportuno un chiarimento del MiSE e dell’Agenzia delle Entrate che non vada a penalizzare le attività di ricerca comunque svolte nel territorio dello Stato. Sul punto, si richiama il testo originario dell’art. 3 del DL 145/2013 secondo cui, nell’ipotesi di ricerca commissionata da un’Impresa non residente (e priva di una stabile organizzazione nel territorio dello Stato italiano) a un’Impresa residente (o alla stabile organizzazione italiana di un soggetto non residente), entrambe le parti non potevano godere del credito d’imposta, attesa:
- la mancanza del requisito di territorialità in capo alla prima;
- la non spettanza del beneficio per la seconda, essendo la stessa commissionaria e non committente.
E’ evidente come questa impostazione andasse a disincentivare il fenomeno della delocalizzazione della ricerca dall’Estero all’Italia. A fronte della predetta “frustrazione” Intervenne la L. 232/2016, stabilendo che, con decorrenza dall’esercizio 2017, il beneficio spetta anche alle imprese residenti che seguono le attività di ricerca in adempimento di contratti conclusi con controparti estere qualificate. In questo quadro si inserisce la norma interpretativa dell’art. 1, comma 72 della Legge di Bilancio secondo cui il commissionario italiano, per fruire del beneficio agevolativo, deve svolgere le attività “direttamente ed in laboratori o strutture situati nel territorio dello stato”. La portata e la ratio della norma sembrerebbe essere quella secondo cui l’agevolazione, che è a carico dell’erario italiano, debba essere riconosciuta solo ad attività che mantengano una connessione territoriale