Il credito d’imposta per ricerca e sviluppo è fruibile da tutte le imprese fiscalmente residenti in Italia, a prescindere dal luogo in cui viene svolta l’attività di ricerca e sviluppo. Lo si desume dai chiarimenti espressi dall’Agenzia delle Entrate (Circolare 5/e de 2016). Ne beneficiano non solo le società italiane che svolgono R&S in proprio o commissionandola a terzi, ma anche le società non residenti con stabile organizzazione in Italia.
Ma come si qualifica il caso in cui la società italiana effettui attività di ricerca e sviluppo tramite sua unità estera? Può sussistere, ad esempio, il caso in cui un’impresa decida di aprire un proprio centro di ricerca in prossimità di poli tecnologici esteri specializzati nel settore di interesse.
Nel caso in esame, l’unità estera verrebbe a configurarsi come stabile organizzazione (branch), in virtù della presenza di un’organizzazione strutturale (persone e mezzi) che compongono il centro di ricerche, e dello svolgimento in modo organizzato di attività di ricerca. Il calcolo del credito d’imposta deve dunque considerare quanto segue:
- La media del triennio deve tener conto degli investimenti in ricerca e sviluppo da parte della casa madre o in altre stabili organizzazioni;
- le stabili organizzazioni dovrebbero essere localizzate nell’Unione Europea, in Paesi collaborativi in termini di scambi di informazioni o aderenti all’accordo sullo Spazio economico europeo;
- il calcolo dovrebbe basarsi su costi effettivamente sostenuti, esclusi quindi eventuali margini addebitati dal branch estero alla casa madre residente in Italia.
Vi sono inoltre alcune fattispecie per le quali sarebbero opportuni chiarimenti da parte dell’Agenzia delle Entrate ai fini del calcolo del credito: tra questi, il caso di branch estero che beneficia del credito “italiano” e, allo stesso tempo, di equiparabili crediti concessi dal paese estero.